Raimondo Galeano L’arte di Raimondo Galeano nasce a contatto con pittori come Tano Festa, Franco Angeli e Mario Schifano, ossia con i principali esponenti della cosiddetta Scuola romana di Piazza del Popolo. Essa è caratterizzata da una estrema apertura alla vita, alla variabilità ed all’imprevedibilità dell’esperienza di ogni giorno. Quella dell’artista bolognese (ma catanzarese di nascita) è una pittura che vuole penetrare lo spazio cosmico cancellando il tradizionale contrasto, su cui ha sempre fatto perno la visione come appropriazione conoscitiva della realtà: quello che oppone in modo radicale luce e tenebre. Questa opposizione, che è alla radice delle prime religioni orientali (come quella di Zoroastro) e delle più importanti filosofie tardo-ellenistiche (come il Neoplatonismo), viene da Galeano attraversata e superata dentro una prassi pittorica in cui non è più la luce a rendere visibili le cose, ma è, al contrario, l’oscurità a diventare condizione della luce. La pittura di Galeano si diffonde così negli interstizi più riposti del mondo, in tutte le pieghe dell’universo, soprattutto di quello ‘notturno’. Ma l’oscurità del notturno non è più, nella prospettiva poetica di questo artista originale, negatività, non-essere, assenza di vita, ecc., come le diverse metafisiche della luce hanno sostenuto nel corso del tempo. È invece un ingrediente necessario dell’essere delle cose, e dunque della loro visibilità e della loro conoscibilità. Si tratta di un paradossale capovolgimento del tradizionale rapporto cecità/visione, in base al quale in presenza della luce i quadri di Galeano non si vedono, mentre è nella sua assenza, cioè nel buio più totale, che i dipinti vengono, per così dire, alla luce e si fanno opera. In tal modo, come ha scritto Valerio Dehò, «il quadro diventa oppositivo rispetto alle condizioni normalizzate dell’arte tradizionale», perché esso emerge (e si fa vedere) solo a patto che scompaia quella che da sempre è considerata la condizione ‘naturale’ della rappresentazione: la luce. Tutto questo comporta un decisivo spostamento del focus artistico dal tradizionale piano compositivo, centrato sul rapporto tra il quadro come ‘oggetto già fatto’, esposto alla visione del pubblico quale fruitore più o meno passivo-recettivo dell’opera, ad un piano fortemente connotato in senso performativo. L’affiorare delle immagini quando il relais fa piombare l’ambiente espositivo nel buio, la possibilità, per l’osservatore, di intervenire lasciando una traccia di sé sulla superficie luminescente del dipinto (l’ombra del proprio profilo, l’impronta di una parte del proprio corpo, un’impressione o un commento scritti con una qualsiasi fonte luminosa) fanno dello spettatore un attore dell’esperienza artistica. L’opera del pittore diventa così davvero un poiein in-determinato, passibile di una pluralità di determinazioni significative di volta in volta diverse realizzate dalla cooperazione tra l’artista e il suo pubblico. Romeo Salvatore BufaloProfessore di Estetica, Università della Calabria, Dip. Studi Umanistici